Dodici anni di vuoto Blur. Non siamo stati soli però. Damon Albarn le ha provate tutte per non farci sentire la mancanza della band di Colchester: dai Gorillaz ai progetti solisti mentre Coxon rispondeva con album tutti suoi, sempre usciti nell'ombra.
Eccoci di nuovo qua quindi. Sono i Blur cha hanno attraversato le loro fasi individuali.
Con "Lonesome Street" e "Go Out" rivivremo le vecchie sonorità britpop, anni di spensieratezza fatta di schitarrate e testi malinconici, ma non fatevi ingannare, "Everyday Robots" ha condizionato Albarn come non mai e così anche molte tracce del disco che ci lasciano un senso di sospensione nel vuoto tipico delle atmosfere elettroniche dell'ultimo album del cantante britannico. Sprazzi di movimento e di eccitazione come con "I Broadcast" che sono i momenti in cui nei concerti si salta senza freni. Attimi di relax e di pacatezza con "Ghost Ship". Per poi finire con il lato "asiatico" del disco che racconta di questa "Pyongyang" in cui c'è un "never ending broadcasts" e di questa allegra ballad "Ong Ong" che sembra la vera novità del disco, i Blur 2 direi. Un mix di Asia tra Giappone, Cina e Corea del Nord in cui le luci al neon della copertina fanno da illuminazione al nuovo percorso musicale della band che sembra che suoni affacciata da una camera di albergo di una di quelle metropoli asiatiche che vediamo spesso nei film.
Bentornati vecchi nuovi Blur.